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“Ogni cosa ripetuta un certo numero di volte diviene un piacere”
(H. Laborit)

 

Tale disordine alimentare rappresenta una categoria diagnostica operativa introdotta proprio dal nostro Centro di Terapia Breve Strategica.

La letteratura classifica il vomiting come una variante dell’anoressia e della bulimia nervosa ma la ricerca empirica (Nardone et al., 1999; Nardone et al., 2005) ha mostrato come il vomiting si basi su una struttura e sistema percettivo differenti. La bulimia (abbuffarsi e aumentare di peso) e l’anoressia (astenersi dal cibo per perdere peso) ne costituiscono la matrice ma, una volta instaurato, il vomiting perde ogni legame con il disturbo che ne ha causato l’insorgenza.

La caratteristica del vomiting è abbuffarsi per poi vomitare, non la si può chiamare bulimia nervosa in quanto nella bulimia la persona si abbuffa e poi vomita per liberarsi dell’eccesso delle calorie che ha mangiato. Il vomito, quindi, nella bulimia  è un accessorio per compensare l’abbuffata. Nel costrutto di vomiting, la persona non vomita perché ha mangiato ma si abbuffa per vomitare.

A furia di mangiare e vomitare, che di solito ovviamente nasce con l’idea di vomitare per non ingrassare (base anoressica) o vomitare per dimagrire (base bulimica), come dice Laborit “ogni cosa ripetuta un certo numero di volte diviene un piacere”.

Quindi la persona inizia a vomitare per dimagrire o per non ingrassare ma alla fine il mangiare e vomitare è così piacevole che comincia ad abbuffarsi per poter vomitare.

Nel vomiting il piacere provato non è l’esito del mangiare ma è dato dalla sequenza di tre fasi:

  • fantasia anticipatoria: la persona inizia a immaginare cosa può comprare;
  • fase di consumazione: la persona si abbuffa;
  • fase liberatoria della scarica rappresentata dal vomito.

 

Il piacere definitivo sta nella scarica, il resto è il caricamento del piacere.

Quindi nel vomiting la modalità di persistenza è la ricerca compulsiva del piacere che si ottiene “mangiando e vomitando”.

Una volta che tale disturbo si è instaurato, il problema non è più quello di tenere sotto controllo il cibo bensì la compulsione al piacere. Il mangiare e vomitare rappresentano un incontro metaforico con un “amante segreto”.

Possiamo inoltre distinguere due categorie di vomitatrici:

  • vomitatrici pentite: quelle che hanno una forte motivazione a liberarsi dal rituale
  • vomitatrici compiaciute: quelle che non vogliono liberarsi dell’amante segreto

 

La cattura della paziente è l’obiettivo fondamentale nella prima fase della terapia poiché molto spesso la vomitatrice non è collaborativa o nella peggiore delle ipotesi può anche rifiutare la terapia. A questo scopo, il terapeuta sin dall’inizio della prima seduta deve ricalcare il linguaggio della paziente e la sua visione della realtà anticipandole quello che prova e proponendo la ristrutturazione del mangiare e vomitare quale “amante segreto” o l’immagine del “demone”.  Ecco che attraverso una comunicazione ricca di ristrutturazioni e di immagini metaforiche si guida la paziente a scoprire nuove percezioni nei confronti del suo problema col cibo.

Una volta sbloccata la sintomatologia, si lavora sia sul piano alimentare evocando il piacere sano del cibo che sul piano relazionale.

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